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Sono entrato a mensa,
Lunedi’ scorso,
e davanti avevo
pure’ freddo e compatto,
fettine di carne fuori legge,
ed una insolita cuocona scavata in anni
di mestoli e tegami.
Mi son voltato intorno.
Gente in ciabatte,
pantaloni scuciti,
tovaglie riciclate
per l’ennesima battaglia.
A destra,
i due denti dell’ultimo mensale.
Ho gustato il pranzo
col sorriso di un cretino,
attento a non offendere
le capsule o i vicini.
Dieci minuti,
non una parola,
poi il vassoio che sfugge dalle mani,
unto al limite di scherzo,
per lasciarmi al fine indietro
tutto quanto.
Bok, mi dice la cuocona.
Bok.
Capisco.
Ero a Zagabria, sono a Zagabria.
Saro’ a Zagabria.
Un anno, forse piu’, forse no.
Eppure vivono…
Ma son scelte, occasioni,
il modo per rinascere dal niente.
O dal tutto.
Quand’ormai la pace ti conquista
ogni scossa e’ sfida,
energia,
il senso stesso
puro
del domani.
Ho fatto questo passo
e tutto andasse male, lo so,
lo rifarei.
Percio’ vado;
non trovero’ filetto a mensa
ne’ tartufi,
forse yogurt vecchio
e strano di sapore.
Di certo
non voi.
Ma e’ cosi’ che deve,
e cosi’ andra’.
Sarei quindi lieto di potervi dire Bok
in quella strana lingua
che appena mi ha sfiorato,
in un dei pochi giorni
che ancor mi vedono
romano.
Partiro’ Venerdi’,
28 Luglio.
Vorrei, con voi,
Mercoledi’,
26,
di sera,
a cena,
come forse mai contento
di guardarvi.
Per una volta,
ancora,
tutti insieme.