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Contemporaneamente, poesia d'autore

 

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Luca Delle Site - Contemporaneamente, poesia d'autore

 

Dietro le porte che non aprirai

 

Prefazione di Plinio Perilli

 

"IL SOGNO CHE TRASALGO, RACCONTANDO..."

( Per Luca Delle Site,

per gli ossimori del suo inamore

che pur fiorisce e avvera

il sogno scritto della realta’ )                            

                                                          

Che’ se la voce tua sara’ molesta

nel primo gusto, vital nutrimento

lascera’ poi, quando sara’ digesta.

– Dante, Paradiso, canto XVII –

 

 

   Ho conosciuto Luca Delle Site durante una trasmissione sulla poesia che tengo periodicamente e, dicono, con piacevole esito, sull’emittente romana di “Televita”… Nello spazio di quella mezz’ora, mischiato ad altri suoi veri o presunti colleghi, mi colpi’ donandomi d’emblée i suoi ultimi due libri di poesia… Il mio occhio, indubbiamente esperto, cercava sùbito un componimento breve, una compiuta equazione lirica – a mo’ di sintesi assoluta ed estrema, diciamo pure: dichiarazione di poetica… Invece, ma con molto piacere, veniva risucchiato e risospinto dentro un fervido fiume di versi, una sorta di molteplici e confluenti poemetti narrativi, che rimandavano sapientemente la sintesi, concedendo al cuore e alla mente sempre nuove prove insieme contro e a favore della poesia…

   Contro la troppo poca poesia che ufficialmente vige, impetra nel mondo; ed a favore della profonda, vera e inestinguibile poesia che ci ditta dentro, che ci comanda l’animo con l’anima (attenzione: non sono affatto la stessa cosa!), ed offre al mondo, esso stesso stranito e avulso, una luce e un percorso altro, raro e sincero come il diritto-dovere del sentimento, la proiezione benefica e progressista del suo ambìto orizzonte…

 

   Nei giorni seguenti, tornato a casa, ho letto e riletto in lungo e in largo In cerca d’amore (2003) e Anime a Sud (2008), i due strani, fascinosi libri che Luca mi aveva dato quel giorno della registrazione in TV.

   “Rosari laici, dove ogni grano della corona scotta tra le dita”, li dice Emilio Giovanneschi, litanìe… Bisognerebbe in effetti parlare un po’ piu’ a lungo di questo suo perseguito, professato andamento poematico insieme agile e densissimo, narrativo eppure fortemente gnostico, finanche sentenziante, talvolta:

 

Ma ancor, com’Egli voglia, 

dissento dal gioire, 

e tal mi sento 

al fondo 

come colui che seppe 

il succo dell’agire,

e pur condusse

per accetto,

le fila di un intenso inaridire. …

 

(“Confesso”, da In cerca d’amore)

 

 

  

   Il succo dell’agireLe fila di un intenso inaridire… Con quella rima d’alleggerimento, in –ire (Caproni praticava, evocava invece rime in –are…), che fa da contrappunto e metronomo musicale, acuto di dolenza e compresenza…

   Ecco finalmente una accensione, cognizione poetica che s’impone, propone, ma pur non disquisisce, e mai per fortuna si lascia trascinare da un sentore o ardore di retorica… Delle Site e’ antiretorico – diciamo pure controretorico. Ed il suo laico, confessionante (giammai “confessionale”!) approccio di fede scantona e scombina ogni facile, usuale catechismo poietico che invece, per Luca significa sempre e soltanto un purgatoriale ascendere ed errare / fra le spine… :

 

Questo il fatto.

Ma, Padre:

che Dio voglia colpir

chi non sa errare

fra le spine,

se non abbia gia’ estirpato

la colpa del voler

che volli avere.

Son anni

che contemplo l’espiazione,

tamponando l’orefizio del dolore

con il mesto accordar

del posso

al Suo volere.

 

(“Confesso”, id.)

 

 

   Quasi una (post)moderna laude dettata da un inopinato Jacopone del Terzo Millennio capace con accanita, sorprendente forza espressionista di tamponare con la poesia l’orefizio del dolore… Oppure, di chiedere al suo stesso amore di praticare l’espianto del ricordo.

   La colpa del voler / che volli avere… Uno splendido dantismo inconscio, spontaneo?… E ancora e soprattutto quella cupa ma vivacissima equazione o visione mistica: Le fila di un intenso / inaridire… O l’ammonizione dolce e terrifica – apocalittica e suadente – del: che Dio voglia colpir / chi non sa errare / fra le spine

 

E ancor non si placa

il mio patire,

e ad Ella giunsi alfine

per capire,

sapendo cosa giusta

e gia’ promessa,

l’espianto del ricordo

al buon prosieguo.

 

  (“Confesso”, id.)

 

 

   Qui l’aspra, ritmata cabala della rima lascia il giusto posto alla liberta’, al suggerimento di un’assonanza (espiazionedolore…): ma l’effetto non perde forza, anzi la convoglia, le da maggior respiro d’aria e una sorta di compunta, “flagellante” cadenza melodica. Appunto un mesto accordar / del posso / al Suo volere… Con tanto di maiuscola… 

 

   Di certo uno degli aspetti che piu’ mi convince e mi prende, di questo suo dittare poetico – a parte, ripeto, la fluida eppur rastremata qualita’ della scrittura (mobile, cadenzata, ossimorica, fortemente visiva, e, ripetiamo, modernissimamente dantesca – il che e’ sempre un gran bel complimento, e va ben oltre il densissimo uso gnomico e il martellante auto-commento dell’avversativa (Ma ancor…; Ma, Padre…):

 

Ma l’oscura luce della notte 

che ad occhi chiusi 

guida il senno 

senza moto, 

ha dipinto un quadro mio rivisto 

ad oggi solo 

per rigetto.

Al solito viale

che conduce alle dimora

notturno mi dirigo

dopo anni di fatica,

o cosi’ sembra

dell’onirico voluto.

Vado, in silenzio,

presente ma pensante

e di grido in grido

apostrofo insensati guidatori

che percorron contromano

la mia via.

Strano dir

che li’ m’apparve

come fosse senso

di naufragio

o il saper di qualche dopo

che m’aspetto.

 

(“Notte tra il 28 e il 29 Novembre 2003”, da Anime a Sud)

 

 

   Il senno senza motodell’onirico volutocome fosse senso di naufragio…  Ribadiamo, ci conquista la fortissima valenza, utenza, starei per dire, psicanalitica di questa scrittura. Che e’ vivacissima e anche affilata, ardita, negli umbratili regni d’Amore e Psiche:

 

Il tesor che mi nascondo 

per il troppo voler 

che mi spaventa

annuncia calamari

e spezie di collina,

baci in agrodolce

e fette di salame,

per ultimo

un brindar di buone nuove

o almen notizie.

 

  (“Il mio nome e’ amore”, da Anime a Sud)

 

 

   Ma anche libera, corrobora una visivita’ che prende dalla luce l’essenza cruda degli stilemi, e chiede all’ombra, al buio, come una guida morale, un’aspra, difficile ma mai rinunciata bussola etica:

 

Non e’ buio, 

non e’ luce, 

non e’ troppo, 

ma caldo arieggiar di cose note …

 

  (“Il mio nome e’ amore”, id.)

 

 

   E certo testi come “Mediaevalica”, o soprattutto “Il testamento” (di Hitler), ma perfino il neo-contro-leopardiano “Ascoltami” – sono indubbi momenti di grande, dissonante (intendiamo: emancipata, per fortuna anarchica, sorprendente) originalita’ e pregnanza lirica.

 

   Sullo sfondo, certo, aleggia l’opera e l’iniziazione alla psicosomatica di Mario Mengheri: questo voler, consciamente o meno, nascondere la profondita’ in superficie… distillandola in suono, distillazione di credo e vicende, linguaggio e pensiero senziente… Cosi’ anche la tramatura sottile e sottesa di una poesia (Mengheri docet) riesce miracolosamente a restituirci – confessare, appunto – volizioni e carenze, sogni e bisogni, erranza e doglianza, ma anche inseguita sapienza, seminata conculcata speranza: “Il mondo, immenso, desiderato, irraggiungibile, e’ dentro di noi, sotto di noi, intorno a noi, nei luoghi e nei tempi che nel piccolo viviamo. Riconoscerlo e’ meta’ di ogni opera a progetto. Sia essa il riposar tranquilli, o la piu’ esaltante delle felicita’.”

 

Mario mio,

dottore dei miei mali,

ho da narrarti un sogno;

ho da narrar

di cose oscure

annegate nel mio fondo

e che un attimo

notturno

ha rivisto galleggiare.

Dormir era il mio scopo,

come ad uman

che d’altri appena

si distingue,

non certo per bisogni,

usanze o istinto.   …

 

  (“Notte tra il 28 e il 29 Novembre 2003”, id.)

 

 

   Il sogno prosegue e intride, irraggia la poesia – che di esso, appunto, diventa racconto, verbale onirico, diagnosi estetica e insieme emotiva, tormentata o rabbuiata di luce (ancora un ossimoro illuminante: “l’oscura luce della notte”…):

 

Nel labirinto della specie

c’e’ un complesso architettonico

di stili e di paure

sommersi nella melma

in fondo al desiderio,

al di la’ di corridoi spenti

e fuor misura. …

 

  (Intro a Dietro le porte che non aprirai)

 

 

   Non so se, come scrive Nicola Marcucci le poesie di Luca Delle Site siano davvero dei frattali (nozione che la geometria sembra rubare all’astrofisica, anzi a una purissima, ancestrale e connaturata, diciamo pure fisiologica chimica della materia), oppure “oggetti che cambiano, prismi a infiniti lati”… Immaginarie Finzioni di borgesiani “hrönir”?…

   Di certo assai mi intrigano, ripeto, componimenti come la citata “Notte tra il 28 e il 29 Novembre 2003”; questa narrazione di un sogno (al suo “Mario mio, / dottore dei miei mali”) che sembra pero’ riguardi anche e specialmente noi, sembra sia esattamente e inopinatamente un sogno tutto nostro, mai piu’ rimosso senza prima mettere in campo, secernere e discernere in cuore la tempra di capirlo, acquisirlo:

 

ed immobile il tutto 

a sorprender la ragione, 

come niente 

avesse piu’ 

varcato il passo, 

lasciando 

di un passaggio 

l’impronta 

o il solo olezzo …

 

                            (“Notte tra il 28 e il 29 Novembre 2003”, id.)

 

 

   Dietro le porte che non aprirai, questa nuova raccolta che oggi gia’ comincia a rapirci, e’ certamente l’opera piu’ matura di Delle Site, e, diciamolo, ammaliante! Selvaggia, Il Bel Zebu’, Inamore… sono cose – momenti e avventi –  che non si dimenticano:

 

O almen non t’amo 

come vorrei che fosse 

al mondo 

il ben volere: 

d’istinto 

che mi porta verso il cuore, 

il sogno che trasalgo 

raccontando 

il suolo che non tocco 

camminando.  …

 

(“Inamore”, da Dietro le porte che non aprirai)

 

 

   Il sogno che trasalgo, caro e bravo Luca, lo porta verso il cuore, con l’anima di un raccontatore che incede, passeggia tutta la sua (e anche nostra) realta’, ma appena a una spanna dal suolo…

 

Ma tu, mi chiese un giorno,

non provi mai calor

o tentazioni

non hai

di che dipingere le sere,

sai

dove tuffar

le tue membranze? …

 

(“Delirium”, da In cerca d’amore)

 

 

   Il dettato classicheggiante, volutamente antiquato, lo aiuta molto, oltretutto, a travalicare la scenografia concettuale, l’orizzonte di memoria, in inquadratura e “Comedía” (ancora l’Alighieri docet) umana, umanista e umanata, molto prima che Divina…

 

E’ di un uomo

che vorrei narrar

le turbe

del pensar che lo comanda.

E di quel po’ che bello

aleggia nei suoi sensi,

di mane o vespero

o notturna situazione.

 

(“Delirium”, id.)

 

 

   Acerrima e compunta, la sua prosodia poetica lo veicola, lo conduce dall’oggi ai ricordi e viceversa, dall’intelaiatura esistenziale al mottetto morale. E lui, Luca, raccoglie tutto, e sembra che proprio di tutto riesca a fare poesia – al contempo ammonendola:

 

Semplicita’

e’ il denominatore.

Come semplice

e’ lo sguardo di una stella

che dall’alto si comanda

al mio volere

come fosse sua

e spontanea

volonta’. …

 

(“Delirium”, id.)

 

 

   Originale, dicevo sopra. Per il lessico, la vis lirico-narrante, il peso d’esistenza e dolenza che sopporta. Anche il credito, la scommessa di speranza, di amabile inamore (o inamabile amore)… Facciamo fatica a ricordare poeti cosi’ avulsi e insieme immersi, epurati di Realta’. Come se solo la Realta’ – giustamente – potesse ancora proporsi, imporsi quale contrappasso del gesto, del fare, del pensiero e del dire poetico… Il primo nome che torna in mente e’ forse Paolo Volponi (o un certo Pasolini dell’inizio, da L’usignolo della Chiesa cattolica fino a La religione del mio tempo). Il Volponi, per intenderci, di Con testo a fronte, un libro un po’ dimenticato del 1986, ma votato anch’esso a diluire come in laica laude cantabile l’asprezza intollerabile della realta’, lo smarrimento conscio del nostro Io:

 

c’era un’immensa distanza

tra una luce e l’altra

che mi fisso’ nell’istante

che traversavo lo stipite

bianco da una parte

bianchissimo dall’altra:

inebriante di smalto dal mio lato,

d’acida e fervida calce, l’opposto.

 

      (Paolo Volponi, “Gli angoli di questa piccola stanza”

                   da Con testo a fronte, 1986)

 

 

   E questa sua Livorno che torna prepotentemente nelle cronache e nei gangli vitali della poesia – certo non e’ piu’ quella solare e rarefatta d’amor filiale che il grande Giorgio Caproni reclamava, consacrava laica a celebrare la mamma Anna Picchi, l’ormai mitica “Annina”, creatura ormai parte indissolubile del nostro stesso ‘900: “Anima mia, leggera / va’ a Livorno, ti prego. / E con la tua candela / timida, di nottetempo / fa’ un giro; e, se n’hai il tempo, / perlustra e scruta, e scrivi / se per caso Anna Picchi / e’ ancor viva tra i vivi.”…

   E’ invece una Livorno, quella di Luca Delle Site, sbirciata fra immote luci e mobilissime ombre… Una Livorno drammatica, teatro e porto d’esistenze gremite di stranezze e dolori indibili…

 

Livorno,

citta’ d’amor sconnesso

tra fumi strani

e facili colori,

nervosa fra le schiume

dei suoi moli,

anche a mar

che neanche si solleva.

Piatto in calma di bonaccia,

l’umor arride in solo

dal notturno

al calor d’eterno sole

che scompare.

Nel borgar d’intorno

che costringe centro e piazza,

anime senz’ossa

o solo vesti

e senza nome,

si snodano silenti

tra i mattoni

e le immondizie,

attende a non pestar

per voglia

o mera incuria,

la pelle di chi gia’

s’e’ perso addietro. …

 

(“Storia di Mirella e di Fabiano”, da Anime a Sud)

 

   La storia poi di “Alessio dei televisori”, e soprattutto quella tragica, sconvolgente eppure domestica, quotidiana, di Mirella e del figlio Fabiano, squarciano la tela della narrazione e la ricuciono con l’attonita – fin troppo novecentesca – meditazione esistenzialista su un male di vivere che quasi omeopaticamente trova, distilla invece il suo antidoto – venefico e salvifico assieme:

 

Alessio, uomo mio distorto,

e pur coscienza

e pur saggezza,

scoperte in occhi enormi

e milioni di parole,

da sempre,

sotto il tendone d’un negozio.  …

 

(“Alessio dei televisori”, da Anime a Sud)

 

 

   Si sa che gia’ nel 1975, un grande critico e scrittore di saggezza quale Roland Barthes parlava tranquillamente di una letteratura che sembrava davvero e purtroppo appartarsi dal mondo: “Non potendo piu’ dominare la realta’ storica, e’ passata da un sistema di rappresentazione a un sistema di giochi simbolici. Per la prima volta nella sua storia, il mondo travalica la letteratura; in fondo essa e’ sempre in stato di sorpresa davanti a un mondo piu’ profuso di lei”… (cfr. R. B., La grana della voce, Einaudi, Torino, 1986).

   Ecco: in splendida controtendenza, quella di Luca Delle Site ci sembra finalmente (e anche felicemente – cioe’ a dire, felice in questa sua fertile ossessione…) una letteratura capace di tornare al mondo: tornarvi, certo, dopo essersi appartata, rintanata, ritemprata nell’Io… Ma comunque tornarvi!

   Ed anche le sue favole veriste o allegorie concrete, specie di questo ultimo libro tutto fibrillante e febbricitante Dietro le porte che non aprirai, e che invece ben si spalancano a sedurre il lettore (pensiamo a storie e a personaggi estrosi e un po’ fatati, eppure assolutamente vissuti e quotidiani, come “Selvaggia”, “Il Bel Zebu’”, “Re nato”, lo stesso “Zio Antonio”…) sono interamente e finalmente pubbliche e segrete, rapite e avvinte dalla vita, piu’ reali della realta’…

 

Ecco, Selvaggia,

Andreea.

Piccola rumena senza aurora

cresciuta al caso della vita

impressa a pugni

in troppi marciapiedi

e poi di ver sospinta

per l’altura

dal coraggio di un incrocio di velieri,

piccole vele

ma splendido maestrale! …

 

      (“Selvaggia”, da Dietro le porte che non aprirai)

 

 

   Luca, nella sincerissima autoprefazione di questa raccolta, si prova a sedimentare morale e cabala di questa sua ricerca insieme umana e poetica, stilistica e, siamo fieri di dirlo, spirituale (lo spirito non e’ territorio esclusivo dei preti!): “In amore, con l’amore, e’ chiaro e si intuisce che si e’ giunti alla porta del sorriso; ma ci sono cuspidi ancestrali di cui non si sa dire, che connubiano l’istinto percepito di ciascuno e la voglia ed il bisogno della coppia, la coscienza di un incontro che non gira e il grigiore d’altre notti a sonnecchiare, il vigor degli anni ben valenti e l’idioma di un futuro che non lega.”…

 

   Resta questo, anche oggi, il suo breve lascito piu’ ricco, piu’ necessario. Assieme a una nozione di amore che esce dalla retorica, spezza e sfonda le categorie piu’ oziose e comuni, e chiede insieme e alla poesia e a Psiche (lo sa bene Mengheri!)…

 

Ma io ho sbagliato.

Ecco perche’  non t’amo.

Ho appeso il voler

di mia natura

dietro ai quadri

di una strana galleria;

e per questo non t’amo.

Ecco perche’ non t’amo.

E pur mi chiedo

che mai sara’

di un uomo

il fine del suo vivere,

se l’imparar di nuovo

a fare a meno dell’amore

e’ la parte resa

e piu’ difficile.

Che mai sara’

quel regidor

che s’agita alle spade! …

 

(“Inamore”, da Dietro le porte che non aprirai)

 

 

   Non catechizziamo, non giudichiamo se quest’Inamore di cui Luca Delle Site ci parla e “ditta dentro” onnitrasfusa l’animacorpo, sia semplicemente – come egli dice e quasi dipinge – un aprire “le mie ali / solo per sorprendermi / ad effetto”… Ne’ profetiamo se esso sara’ magari eterno o infrangibile come l’altro Amore immaiuscolato, e spesso con suadente ipocrisia cantato e giurato dai poeti, dagli aedi del cuore…

   Ma resta e conta, semina e raccoglie, finalmente si mette in gioco, rischia e vince la vita vera, le porte che apriamo e quelle che non ci apriranno, non ci apriranno, a cui busseremo di nuovo, e ancora, e finalmente si apriranno, ma solo se anche noi – noi stessi, arditi e nudi nell’anima – le apriremo…

 

 

 

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