Contemporaneamente, poesia d'autore
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Anime a Sud
Introduzione di Nicola Marcucci
POESIA, CONSIGLI D’USO
Caro lettore: non solo hai preso in mano un libro di poesie e lo hai aperto, ma ti soffermi addirittura a leggerne le prefazioni. Complimenti, tanto di cappello, ti esprimo tutta la mia ammirazione, ma non è a te che mi rivolgo. Non hai bisogno, infatti, di suggerimento alcuno, sai da te cosa cercare in questo libro. Forse, però, conosci qualcuno che questo libro nemmeno toccherebbe, qualcuno per cui “poesia” significa uggiosa memoria scolastica e tormentosa noia, meglio ancora se fosse qualcuno che al solo suono del sintagma “libro di poesie” cerca d’impeto vie di fuga. Ecco, è a costui che vorrei parlare. Se lo conosci, ti prego di sottoporgli queste righe, sperando che poi rimaniate amici.
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Caro lettore cooptato, quello che hai in mano è un libro di poesie, e non è cosa che ti alletti, lo so. Ti propongo tuttavia un esperimento. Aprilo, cerca l’indice, e vedi se almeno uno dei titoli ti incuriosisce, anche solo appena. Vai quindi alla relativa poesia e leggila tutta d’un fiato, senza chiederti nulla. Poi chiudi il libro. Può darsi che lì per lì tu rimanga un po’ confuso, con la sensazione di non averci capito un’acca. Va benissimo. Riponi il libro e attendi un giorno. Vedrai che ti accadrà qualcosa di insolito: ti capiterà di ripensarci, e di cominciare a sospettare che quel tumultuoso accozzamento di parole contenga un segreto, o forse un messaggio, chissà. Sono certo che ti accadrà, perché vedi, Luca Delle Site non è un accademico filologo che butta su carta elaborati intrecci di parole al solo scopo di mostrare il suo sapere; Luca Delle Site è semplicemente un poeta, e i poeti, quelli autentici, fanno questo effetto. Fanno questo effetto soprattutto quando li prendiamo per il verso giusto. Un altro poeta, Vittorio Sermonti, ci dice: il bambino, seduto sul tappeto, ascolta i discorsi degli adulti. Non li capisce, ma li trova familiari, fanno parte del suo bagaglio di essere umano. Così, pur non capendoli, li ascolta, e ascoltandoli si incanta. Così con la poesia. Non è necessario capirla fino in fondo, basta ascoltarla: ci suonerà comunque familiare, perché esiste da prima di noi. Dunque quel che ci hanno insegnato a scuola sui poeti, la parafrasi, l’analisi, l’esegesi e il commento, forse non è il verso giusto. La poesia va prima di tutto ascoltata, vissuta, in qualche modo “adoperata”. Certamente finiremo anche per comprenderla, ma in modo inedito e completo, e farà parte di noi. Cerchiamo di capire da cosa nasce l’inspiegabile attrazione che le poesie di Delle Site eserciteranno anche su di te, fidati, caro lettore. Circa trent’anni fa due dotti studiosi di linguaggio e apprendimento, Jean Piaget e Noam Chomsky, individuavano due principali modelli di letteratura: quello del cristallo (immagine di invarianza e regolarità di strutture specifiche, cioè un sistema rigido e auto-organizzato), e quello della fiamma (immagine di costanza d’una forma esteriore, malgrado l’incessante agitazione interna, cioè ordine dal rumore). A mio avviso la poesia di Luca Delle Site è caratterizzata sicuramente dalla fiamma, è fiamma pura, e la fiamma, lo sai bene, è una forma di bellezza perfetta da cui lo sguardo non sa distogliersi. Stabilito, anzi, sperimentato che l’attrazione esiste, ripartiamo da quel sospetto di cui parlavo prima, cioè che la poesia letta contenga un segreto profondo, sfuggito al primo sguardo. Come scoprirlo? Ci viene in aiuto ancora un poeta, questa volta Hofmannsthal, che dice: la profondità va nascosta. Dove? Alla superficie. Delle Site, che lo conoscesse o no, ha recepito in pieno il precetto. In fondo i poeti, di ieri e di oggi, discendono probabilmente da un'unica stella. Ma qual è la superficie di una poesia? Il suo suono. È passato un giorno. Riapri il libro. Non necessariamente alla stessa poesia che hai letto, puoi anche aprirlo a caso, alla ricerca del massimo della sorpresa. Estrapola un verso, per esempio questo, tratto da Ascoltami:
Leggilo ad alta voce, lentamente, e ascoltati, una, due, tre volte. Continua a non porti domande, concentrati solo sul suono. Il segreto è qui. Sentirai accrescere il potere della fiamma. Ti verrà voglia di suonare altri versi, poi la poesia intera. E a poco a poco, in modo quasi inavvertito all’inizio, ci entrerai dentro. È solo questione di tempo. A quel punto tutto prenderà forma. E questa forma ancora muterà, come un frattale, troverai sorprese impensate, lampi di luce, improvvise illuminazioni, cose che sai e non credevi di sapere. Il libro di Luca Delle Site diventerà un castello con vari corridoi, tanti quante sono le poesie. E su ogni corridoio si affacceranno varie porte, tante quanti sono i versi. Vorrai aprirle. Qualcuna cederà subito, qualcuna richiederà una spallata, altre rimarranno chiuse. Pazienza. Non è detto che non si apriranno, un giorno. Cosa troverai dietro ogni porta? Sarà emozionante scoprirlo. Forse ti aspetterai una stanza, e ti accorgerai che ce ne sono cento. Ritornandoci le troverai diverse, e magari ancora moltiplicate. Viaggerai. Di certo nessun erudito di lettere potrà spiegarti a priori, e in modo definito, cosa “devi” trovarci. Partendo dal suono vivrai la poesia dall’interno, e conterai tu, il tuo passato, il tuo sentire, il tuo bagaglio, che la poesia agiterà e risveglierà, rivelandoti a te stesso.
Leggendo e rileggendo le poesie di Luca Delle Site io ho viaggiato molto. Sottili emozioni e riconoscimenti in Il mio nome è amore, dolore puro in Ascoltami, stupore per la capacità d’osservazione di Delle Site ne L’Ungaro, che mi ha fatto pensare alle parole di Flaubert: il buon Dio sta nei dettagli. Dopo la lettura di questa poesia, minuti oggetti del mio quotidiano hanno cominciato a parlarmi in modo diverso, e davvero, come dice Delle Site stesso, ho goduto dello “scoprir d’immenso che, se vuoi, si rivela dietro il rumore quotidiano della sveglia”. Ho sorriso, invece, imbattendomi nel verso di Olimpica: ho l’umor di una ferraglia / e lo sguardo / di un cipresso / senza posa. Uno stato d’animo che conosco bene. Ma ho sorriso pensando all’aspirante poeta, colui che insegue costantemente l’espressione verbale felice, il “mot juste”. Poi inciampa in un verso simile, si ferma, e con angustia sente nascere il confronto, si interroga: avrei saputo, io, esprimere questo sentimento se non meglio, almeno in modo altrettanto efficace? E desolatamente si risponde di no, perché questo verso è il paradigma del “mot juste”, e Delle Site ne partorisce una quantità invidiabile. Mi fermo qui, volutamente. Inutile descrivere capillarmente, verso per verso, i mondi che ho vissuto grazie a questo libro, sono i miei viaggi, poco contano. Importanti, invece, sono quelli che farai tu, caro lettore.
Ma uno sì, vorrei raccontartelo, vorrei dirti cosa ho trovato dietro una delle tante porte. Leggevo Olimpica. Mi soffermo su un verso: e l’uomo appare, / conosciuto, / come fosse stato scritto / poco prima. Non sembrava una gran porta. Eppure la apro, un presentimento, un campanello. Nella prima stanza trovo una antica questione letteraria: la scrittura insegue la realtà o addirittura la determina? “Come fosse stato scritto poco prima”. Le cose esistono davvero solo se hanno un nome, e se qualcuno le ha descritte. I segreti del mondo sono contenuti nella combinatoria dei segni della scrittura. Lucrezio, Pico della Mirandola, Galileo, Leibniz… No, non mi interessa granché, meglio richiudere la porta. Eppure… c’è qualcosa che brilla in un’altra stanza, cosa ha illuminato quel verso? Oh, guarda guarda, è un hrönir. E poi ricordo dove ho letto questo strano nome: Borges, Finzioni. Recupero il libro, l’avevo letto molto tempo prima, controllo. Si tratta di Tlön, un paese fantastico dove esisteva solo un linguaggio idealista. Dopo qualche secolo l’idealismo aveva cominciato a influire sulla realtà. Si potevano creare straordinari oggetti solo se qualcuno li aveva immaginati e scritti. Questi oggetti si chiamavano, appunto, hrönir. “Come fosse stato scritto poco prima”. Quell’uomo è una specie di hrönir. Ma come era fatto questo linguaggio idealista? Non aveva sostantivi, perché a Tlön non concepivano il mondo come un concorso di oggetti nello spazio, ma come una serie eterogenea di atti indipendenti. Un oggetto non aveva un senso in sé; poteva essere in un modo o in un altro, dipendeva dal sentire di chi interagiva con quell’oggetto. Dunque esistevano solo verbi e aggettivi. Il sostantivo si formava per accumulazione di aggettivi. Non si poteva dire “luna”: si diceva aereo-chiaro su scuro-rotondo o arancione-tenue, dipendeva dalle percezioni individuali. Le poesie erano appunto aggregazioni mutevoli di termini simili, qualcuna era composta da una sola enorme parola, che costituiva l’oggetto poetico. E non potremmo pensare così anche le poesie di Delle Site? Oggetti che cambiano, prismi a infiniti lati, dove il sentire personale stabilisce il significato. E ogni significato ha peculiare valore. Delle Site ha lasciato una traccia, che attraverso Borges spiega Delle Site.
La poesia, e la letteratura tutta, se vissuta da dentro perde la muffa e la distanza. Diventa utile, anzi, fondamentale. Questo libro, caro lettore, diventerà per te prezioso. Non leggerlo, suonalo, e poi lasciati trasportare. Condividilo con gli amici, scoprirai paesaggi che non avevi visto, e vivrai momenti di intensa magia. Comprenderai fino in fondo la suggestiva definizione che della letteratura ha dato Leonardo Sciascia: che cos’è la letteratura? Forse è un sistema di “oggetti eterni” che variamente, alternativamente, imprevedibilmente splendono, si eclissano, tornano a splendere e ad eclissarsi – e così via – alla luce della verità. Come dire: un sistema solare.
Tornerai spesso a questo libro. Sarà per te balsamo, stimolo, lenitivo, emozione, intuizione, respiro, gioia e consolazione. Gli vorrai bene. E anche un po’ a chi l’ha scritto.
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